ANTONIO CARDARELLI
Clinico famoso non solo in Italia in un'epoca nella quale non esistevano i mezzi
di comunicazione di oggi; la conoscenza tra medici avveniva nei congressi o
attraverso le pubblicazioni; i non addetti ai lavori conoscevano il personaggio
attraverso la fama che circolava attorno alle diagnosi veloci, chiare, esatte e
alle guarigioni ottenute. Era chiamato al capezzale di regnanti e di alte
personalità, ma era altrettanto disponibile alle chiamate della povera gente. E'
stato l'esponente di spicco della scuola positivo-naturalistica napoletana alla
quale dobbiamo molto perché contribuì a dare inizio alla moderna medicina che,
partendo dallo studio anatomo-clinico del malato, adottò il metodo sperimentale
che ha fatto della medicina una scienza i cui progressi continui hanno portato
ai risultati odierni. La scuola medica italiana dell'ottocento, a Firenze con
Bufalini e a Napoli con Ramaglia, Villanova, Lanza, Manfè che furono maestri di
Cardarelli, attuarono una pratica medica che partendo, non dalle teorie, ma dal
malato, si poneva il problema della diagnosi della malattia da raggiungere prima
attraverso lo studio accurato del paziente ricercando i sintomi soggettivi
raccolti nell'anamnesi e i segni obiettivi ricercati sistematicamente sul
paziente mediante la semeiotica fisica e, successivamente utilizzando il
ragionamento clinico. La guarigione o la succesiva verifica anatomopatologica,
se il paziente decedeva, dimostrava la giustezza o meno della diagnosi. Di
questo metodo sperimentale Cardarelli era diventato l'interprete più autorevole,
superando di gran lunga, per unanime riconoscimento, i suoi maestri in virtù
della sua tecnica semeiotica che lo porterà a scoprire molti segni rivelatori di
malattie. Di questo metodo divenne il maestro più accreditato.
Nato a Civitanova del Sannio il 29 marzo 1831 da Urbano valoroso medico di idee
liberali e dalla signora Giuseppina Lemme, con i fratelli Giuseppe e Fedele
compì gli studi medi nel Seminario di Trivento. Fu questa una scuola che formò
il giovane Cardarelli che fino a tarda età continuò a leggere i classici i
classici latini ma, anche testi in francese e in tedesco, lingue importanti per
lo studio della medicina. A diciassette anni venne mandato a Napoli per
completare la sua preparazione. Era il 1848, l 'anno dei moti carbonari che
miravano ad ottenere la Costituzione dal Re Ferdinando II di Borbone. Un giovane
dal temperamento fiero e inquieto, che dal padre aveva appreso le idee liberali,
non poteva esimersi dal partecipare ai moti. La palese adesione al liberalismo
gli procurò non pochi problemi: sorvegliato discretamente, prima, dalla
efficiente polizia borbonica, fu successivamente sottoposto a più serrato
controllo, quando si accorsero che il suo alloggio da universitario era
frequentato da un via vai di studenti. Fermato ed interrogato fu necessario far
intervenire professori e studenti per dimostrare che, riconosciuto più preparato
scientificamente da parte dei suoi colleghi, faceva da giovane tutor ai
condiscepoli che a lui si rivolgevano per spiegazioni. Più grave fu l'episodio
che gli occorse a Civitanova nel 1860, quando la reazione filo borbonica che nel
circondario fece scorrere tanto sangue di liberali, lo costrinse a fuggire per
salvare la pelle. A Napoli, dopo due anni di studi propedeutici, si iscrisse al
Collegio Medico di Sant'Aniello a Caponapoli dal quale uscì laureato in medicina
all'età di 22 anni. A 23 ann, nel 1854, sposò Annunziata Giannuzzi, figlia di un
medico napoletano. Il loro lunghissimo matrimonio, durato 73 anni, fu felice
anche se non allietato da figli. La moglie gli sopravvisse. Era da poco
laureato, quando fu bandito un concorso per assistente medico all'Ospedale degli
Incurabili di Napoli. Era qusto l'ospedale più grande del Regno delle due
Sicilie che raccoglieva pazienti da tutte le parti dello Stato e non solo. Tutta
la patologia più seria affluiva in questo ospedale. I medici che vi operavano
erano dei veri maestri che accoglievano studenti ai quali insegnavano la
medicina pratica al letto del malato. Inoltre vi era la consuetudine che tutti i
medici, periodicamente si riunissero attorno al letto del malato più
interessante a discutere il caso collegialmente.Entrare in quell'ospedale
significava entrare nel regno della medicina. Cardarelli non aveva ancora i
requisiti per concorrere, ma essendo assente un candidato che aveva il cognome
simile, si presentò al suo posto. Il suo compito, a giudizio unanime della
commissione, risultò primo su 199 candidati. Il tema era sulla scabbia che,
all'epoca, era ritenuta una malattia legata all'alterazione degli umori.
Nell'elaborato egli confutò la tesi corrente dimostrandone la natura
parassitaria da poco scoperta dal Renucci nell'ospedale San Luigi di Parigi.
All'apertura delle buste dimostrò di essere lui l'autore e la commissione lo
confermò nella vincita del concorso anche dopo le inevitabili contestazioni e i
ricorsi all'Amministrazione e al Ministero. Entrato avventurosamente,
nell'Ospedale degli Incurabili percorse tutta la sua carriera ospedaliera:
assistente, aiuto, direttore di sala, primario, consulente. Nel 1859, ebbe
l'incarico nell'ospedale dell'insegnamento della semeiotica, di cui era divenuto
espertissimo, insegnamento che già aveva iniziato privatamente nel suo studio e
nel collegio medico nel quale era stato studente. Successivamente gli fu
permesso di insegnare patologia e clinica medica che insegnò liberamente in
ospedale fino al 1889, quando passò alla cattedra universitaria. Nel 1880 fu
eletto deputato al Parlamento Nazionale nel collegio di Isernia; conservò il
seggio fino al 1894 risultando sempre eletto fra i collegi di Isernia e
Campobasso 2. All'elezione del 1895 cedette il collegio a Ruggero Bonghi. L'anno
successivo su proposta del Primo Ministro Di Rudinì, fu nominato Senatore del
Regno. All'età di 58 anni vinse la cattedra di patologia medica all'Università
di Napoli, subentrando al prof. De Renzi che era stato suo collega al Collegio
Medico. Tre anni dopo, alla morte del prof. Cantani, passò alla cattedra di
clinica medica che mantenne, per meriti speciali in virtù dell'art. 65 della
legge Casati 1859, fino all'età di 93 anni, quando, con suo grande dispiacere,
ancora lucido di mente, fu collocato a riposo. L'8 gennaio del 1927 decedeva a
Napoli, con grande cordoglio non solo dei suoi discepoli e di tutta la classe
medica, ma di tutta la popolazione napoletana e molisana che volle tributargli,
spontaneamente, onori funebri degni di un sovrano, nonostante le sue ultime
volontà andassero in altra direzione. Dopo la sua morte la fama non si spense,
anzi ingigantì e nacque il "mito Cardarelli": il clinico che faceva diagnosi
guardando in volto il paziente o solo sentendolo tossire o a sentirlo parlare.
Si diffuse una ricca aneddotica sulla sua vita e sulle sue diagnosi. Era
divenuto il clinico per antonomasia, il termine di paragone dei clinici, non
solo a Napoli o nel Molise, ma ovunque. Per capire il perché ancora oggi, a
quasi 80 anni dalla morte, si sente il bisogno di ricordarlo bisogna analizzare
tutti i lati della sua personalità e le sue opere.
L'UOMO
E' difficile, quando si parla di un medico, scindere l'uomo dal professionista,
perché ogni medico, quasi sempre, trasferisce nella professione il suo
carattere, le sue proprie idee e convinzioni e tutte quelle caratteristiche che
ne fanno un individuo. Tuttavia capita spesso che un medico esaurisca le sue
doti di umanità nell'ambito professionale, mostrando,poi, nella quotidianità e
in altri contesti, un diverso modo di essere.
Dal racconto dei suoi allievi appare come un uomo dal carattere volitivo e
deciso, sicuro di sé, ma non vanitoso, poco propenso al ripensamento e ad essere
contraddetto. A volte addirittura burbero, ma sempre disponibile a ogni
richiesta di aiuto. In un disegno di progresso sociale aveva, con i propri
mezzi, dotato Civitanova del Sannio dell'acquedotto, della rete fogniaria, del
cimitero, della strada rotabile. In un momento di crisi economica, più grave del
solito, aveva istituito il monte frumentario. Per molti anni fornì la somma di
1000 lire destinata a fare la dote a 4 ragazze povere. Verso la fine della sua
vita non esitò a vendere quadri di autori famosi, di cui, amante delle cose
belle e dell'arte, si era circondato, per far risanare il bilancio del suo
Comune di origine. Non esibiva mai le numerose onorificenze che da ogni parte
gli erano pervenute e non aveva mai accettato incarichi di governo che gli erano
stati offerti, perché riteneva che ognuno dovesse fare solo le cose di cui
s'intendeva. Quando ormai in pensione seppe che l'università di Napoli discuteva
per vedere quale fosse il modo migliore per onorarlo, tramite un suo allievo
fece sapere che non desiderava feste, discorsi e celebrazioni, ma che avrebbe
gradito che fosse stata istituita a suo nome una borsa di studio per uno
studente meritevole. Le sue ultime volontà furono: non fiori, non discorsi, non
accompagnamenti ufficiali; una semplice cassa di legno per essere trasportato
nel suo paese natio a riposare accanto ai suoi.
IL MEDICO
Più che del medico si deve parlare del clinico. La più ricca aneddotica è quella
su cardarelli clinico: la diagnosi fatta semplicemente osservando una persona,
un comportamento, una voce dava l'impressione che fosse divinazione. In realtà
le diagnosi fatte da Cardarelli erano sempre basate sull'osservazione prima e
sul ragionamento clinico poi. La sua grande capacità era quella di capire quali
fossero i sintomi più importanti nel contesto del paziente e la rapidità di
sintesi del suo ragionamento clinico. Sosteneva e insegnava che "il medico
diagnostica e non divina; la diagnosi si fa per segni e non per ispirazione". Il
metodo di sintesi: observatio et ratio. Diceva inoltre "nessuno è tenuto a
diagnosticare una malattia che tace allo stesso malato"; molto spesso le
diagnosi a quell'epoca suonavano come condanne a morte, malgrado ciò Cardarelli
diceva sempre la verità al malato, anche quando la prognosi era severa. Per
fortuna, anche se raramente, la diagnosi o la prognosi non erano esatte. Tutti.
O quasi, conoscono la diagnosi di tumore intestinale fatta a un sacerdote
molisano che aveva un semplice fecaloma eliminato succesivamente con un
purgante, caso che il maestro raccontò tante volte che, nella pratica comune,
anche molti anni dopo, chiamavano il fecaloma "il tumore di Cardarelli". Pochi
invece conoscono la diagnosi corretta ma la prognosi catastrofica fatta alla
famosa cantante Elvira Donnarumma: la diagnosi di tumore epatico era esatta, la
prognosi di un anno di vita risultò avventata, infatti la cantante dopo circa
due anni si esibiva ancora in teatro. Recatosi una sera a teatro ad ascoltarla,
dopo lo spettacolo Cardarelli andò a salutarla presentandosi come il fesso che
l'aveva spacciata. Anni dopo la "Canaria" morì di tumore al fegato. La sua
capacità di diagnosi e la sua capacità di utilizzare al meglio i pochi mezzi
terapeutici disponibili all'epoca lo avevano reso il clinico più famoso,
chiamato ovunque: al capezzale del Re Vittorio Emanuele II, a quello di Umberto
I; curò Garibaldi, Verdi, Crispi, Bovio e tante altre personalità dell'epoca, ma
anche tanta gente umile che andava a visitare nei bassi. E' noto che la famosa
scrittrice Matilde Serao, sua paziente, nel romanzo "il paese di cuccagna" nel
descrivere la figura di un medico famoso, tra i pochi personaggi positivi del
romanzo, lo prende a modello.
Sempre attento alla terapia, e i mezzi terapeutici a quell'epoca erano veramente
pochi, seguiva con grande interesse tutti i progressi e i successi della
chirurgia avviando alla terapia chirurgica quei malati che riteneva trattabili e
invitando i discepoli a inviare il malato al chirurgo quando ne ravvisavano
l'indicazione.
Fu accusato dalla stampa nazionale di essersi permesso di contestare la diagnosi
fatta dai medici curanti al vecchio Papa Leone XIII senza averlo visitato. I
fatti andarono nel modo seguente: al Papa malato fu diagnosticata una pleurite
essudativa e quotidianamente veniva emesso il bollettino medico che si conosceva
il giorno dopo attraverso la stampa quotidiana, non essendovi all'epoca un Vespa
televisivo che improvvisasse uno spettacolo serale sull'argomento. Carderelli in
quel periodo aveva portato in aula dei casi di tumore pleurico e spiegava agli
allievi che clinicamente la diagnosi differenziale tra pleurite essudativa e
tumore pleurico si faceva attraverso la puntura del torace. Se la puntura dava
esito a liquido più o meno chiaro cisi trovava di fronte a pleurite, se dava
esito a sangue, era molto probabile che si trattasse di un tumore. Dal
bollettino medico del Vaticano per tre volte consecutive venne riferito che la
puntura evaquativa cui era stato sottoposto il Papa aveva dato esito a materiale
sanguinolento. Una diagnosi sul Papa riportata dai giornali era argomento di
conversazione in tutti i luoghi, figurarsi se non se ne discutesse nella clinica
medica di Napoli, specialmente tra gli studenti che avevano appreso dal maestro
che quando la puntura evacuativa avesse dato esito a sangue era facile che si
trattasse di un tumore. Cardarelli di solito dopo la lezione, accettava di
discutere con gli studenti tutti gli argomenti, anche non medici, che gli
venivano posti. Un giovane medico, facendo quattro chiacchiere dopo una lezione
gli chiese un parere sulla diagnosi fatta al Papa. Questi rispose che a suo
giudizio la diagnosi non era corretta e ne spiegava i motivi. Il giovane medico
che faceva anche il pubblicista, riportò su un giornale l'opinione del Maestro,
come se si fosse trattato di un'intervista. La reazione del collegio medico del
Vaticano fu immediata e la stampa nazionale si divise fra i sostenitori del
collegio medico e quelli di Cardarelli che non intervenne nella diatriba
giornalistica ricca di pareri di clinici famosi favorevoli o contrari. Il Papa
morì. Fu imbalsamato e sepolto senza che fosse stata praticata l'autopsia che
come è noto non può essere praticata su un pontefice defunto. I partigiani del
collegio medico sostennero che gliimbalsamatori, avendo eviscerato la salma
avevano confermato la diagnosi. Dopo 40 giorni dalla morte del Papa, Cardarelli
pubblicò sulla "Rivista critica di clinica medica", un lungo articolo dal
titolo: "Ragioni del mio dubbio sulla malattia di Papa Leone XIII2 nel quale
sostenne che "è scorretto rilasciare interviste sui malati quando si è il
curante, a maggior ragione quando non lo si tiene in cura; che egli non aveva
mai lasciato interviste, ma che aveva in via riservata parlato con un collega;
che quando una diagnosi viene pubblicizzata attraverso bollettino medico, tutti
la possono valutare criticamente; nei bollettini emessi dal Vaticano, c'erano
elementi sufficienti per affermare che la diagnosi non fosse corretta; che
l'imbalsamazione è altra cosa rispetto all'autopsia anatomopatologica". Continuò
ad esercitare la sua attività di medico anche dopo che l'università lo collocò a
riposo e fino a che le forze glie lo consentirono. L'ultima diagnosi a prognosi
infausta, la fece su se stesso. Malgrado l'età avanzata, il suo fisico, come la
sua mente era in grado di superare i malanni correnti. Ai medici curanti che
erano stati tutti suoi allievi e che si affannavano nel tentativo di guarirlo
disse: "E' inutile ogni sforzo, la mia ultima diagnosi e la mia ultima prognosi
non possono fallire". Anche quest'ultima diagnosi era stata formulata non per
premonizione ma in base ad un ragionamento clinico.
IL MAESTRO
L'attività alla quale Antonio Cardarelli si è dedicato con maggiore passione è
stato l'insegnamento. Tutta la sua esperienza di clinico che andava via via
maturando la trasmetteva ai suoi allievi. Già da studente, come già detto, era
il punto di riferimento dei suoi colleghi che si rivolgevano a lui per
spiegazioni perché gli riconoscevano la capacità didattica. In un discorso alla
Camera del 1880 in difesa del libero insegnamento, complementare a quello
accademico, spiegò come nasce un insegnante libero: " lo studente più dotato,
preparato, viene dai suoi compagni scelto come colui al quale rivolgersi per
delucidazioni e consigli. Tale riconoscimento gli viene riconfermato dopo la
laurea, i compagni gli chiedono aiuto per farsi preparare negli esami e lascia
la scuola salutato maestro dai suoi compagni". Sembra, come in effetti è, una
nota autobiografica. Quando nel 1859 gli fu affidato l'insegnamento della
semeiotica nell'Ospedale degli Incurabili, aveva già l'esperienza
dell'insegnamento privato nel suo studio e nel Collegio Medico. La sua attività
didattica ufficiale è durata 65 anni: 31 anni quella libera e 34 quella
accademica. Quando, all'età di 58 anni, arrivò all'insegnamento accademico, la
commissione ritenne inutile il concorso. Era preceduto da una chiara fama non
solo di clinico, ma anche di docente. La fama gli era stata data dal notevole
numero di studenti che lo avevano scelto come maestro e lo seguivano in corsia
dopo la lezione. La sua aula era sempre gremita il che gli creava qualche
antipatia da parte dei colleghi che inevitabilmente, si mettevano in
competizione con lui. Molti aneddoti circolavano a Napoli su questo tema. Quello
qui riportato è stato riferito da più allievi. Ad un paziente dell'ospedale cui
aveva fatto diagnosi, infausta, di tumore del fegato e su questo tema aveva
tenuto la lezione ai suoi allievi, un suo collega, in contestazìone, aveva
diagnosticato, invece, la sifilide epatica e in questo senso si era espresso con
i suoi allievi a lezione. Fra i due gruppi di studenti cominciarono le
discussioni che divennero polemiche quando investirono i due docenti
che,rimanendo ognuno della propria opinione, si sfidarono sulla giustezza della
diagnosi: colui che avesse sbagliato la diagnosi sarebbe andato via
dall'ospedale. Le diagnosi erano entrambe infauste e il paziente che stava male
in breve morì. A tutti i pazienti deceduti in Ospedale veniva praticata
l'autopsia in forza del metodo atomo clinico. Quel giorno in sala settaria vi
era una gran folla di studenti che assistevano e quando l'anatomo patologo
estrasse il fegato tumorale gli allievi del Cardarelli proruppero in un
applauso. Il collega lasciò l'ospedale e l'insegnamento e ritornò al suo paese a
fare il medico. Passato all'insegnamento accademico, Cardarelli conservò
l'abitudine di fare lezioni eminentemente pratiche, riportando agli studenti
sempre le esperienze personali, anche gli errori sui quali ritornava spesso.
Augusto Murri, il clinico medico di Bologna,altro mostro sacro della medicina
italiana, parlando a Cardarelli diceva: "Gli altri clinici dicono quello che
hanno letto, mentre voi dite solo quello che avete veduto". Nelle sue lezioni
insegnava come si doveva fare per farsi descrivere i sintomi dal malato, come
ricercare i segni clinici, come impostare il ragionamento diagnostico. Non si
era dedicato ai laboratori ma non ne disdegnava l'aiuto che con la radiologia
poteva dare ai fini della diagnosi. Sosteneva, però, che poiché pochi studenti
erano detsinati ad entrare negli ospedali e nelle cliniche dove potevano
usufruire dei vantaggi della semeiotica strumentale mentre la maggior parte
sarebbe andata in condotta medica dove le sole risorse diagnostiche erano la
semeiotica e la clinica, le sue lezioni dovevano curare particolarmente questi
strumenti. Le sue lezioni erano di una chiarezza estrema ma ricche di spunti
anatomici , di storia naturale della malattia, di aggiornamenti, di utili
consigli pratici e di terapia ragionata. I mezzi terapeutici a sua disposizione
non erano certi quelli odierni, ma li sapeva utilizzare al meglio e insegnava a
farlo. Era un sostenitore delle terapie chirurgiche di cui seguiva i progressi e
raccomandava di inviare al chirurgo quei pazienti che potevano giovarsi delle
terapie chirurgiche.
Alle sue lezioni, sempre affollatissime, assistevano non solo studenti, ma anche
medici e docenti.
Le lezioni cominciavano con l'accuratissima storia clinica del malato, sempre
presente in aula, poi la puntigliosa ricerca di segni obiettivi e poi il
ragionemento clinico, serrato, preciso, logico, che portava alla diagnosi.
Quando, poi, trattandosi di diagnosi, spesso, a prognosi infausta a quei tempi
e, il paziente passava a miglior vita, tutti gli studenti si recavano in
anatomia patologica dove il prof. Otto Von Schron eseguiva l'autopsia, come
racconta in un suo scritto il prof. Montalbò, che di Cardarelli fu allievo e al
maestro dedicherà l'Ospedale di Campobasso ristrutturato. Quando una diagnosi
difficile era esatta si entisiasmava anche il rigido anatomo patologo che
esclamava: "Questa diagnosi la poteva fare solo il Padre Eterno". Quando la
diagnosi non era confermata il Maestro ne faceva oggetto di altra lezione nella
quale riesaminava tutti i punti per far comprendere dove era stato commesso
l'errore: "Il più bravo è quello che sbaglia di meno - diceva - ma quando si
sbaglia è necessario parlare dell'errore commesso perché in tal modo si evita di
ricadervi e si aiuta gli altri a non commetterlo".
Quanto si è riferito fin qui spiega l'entusiasmo e l'affetto degli studenti per
il maestro e quello che successe all'ultima lezione quando, lasciato
l'insegnamento perché collocato a riposo all'età di 93 anni, gli allievi lo
andarono a prendere a casa e lo portarono in clinica per un'altra lezione nella
quale egli, con voce ferma, come ricordava il prof. Tesauro, fece una dotta
lezione ricca di insegnamenti e dettò il suo testamento spirituale: "Non ho la
presunzione di essere uno scienziato, ne so se ho dato il minimo contributo alla
scienza; so che sono stato un insegnante attivo, energico, costante, che ha
consacrato tutta la vita all'insegnamento per 65 anni, dall'età di 28 a quella
di 93 anni. Non merito di essere iscritto nell'albo d'oro degli scienziati, ma
pretendo di essere iscritto in quello d'argento degli insegnanti". Concluse la
lezione dicendo: "Voglio che mi amiate e soprattutto mi ricordiate come
maestro". All'ovazione finale seguì una grande manifestazione di affetto: fu
portato in trionfo dagli studenti che tolsero i cavalli dalla sua carrozza e la
trainarono a braccia fino a casa. Per finire si vuole ricordare la magnifica
sintesi che fece Gabriele D'Annunzio della figura e della personalità di Antonio
Cardarelli per l'epitaffio:
SIA VENERATA IN OGNI TEMPO QUEST'URNA
CHE NEL NOME DI
ANTONIO CARDARELLI
CLINICO INSIGNE E MAESTRO INSUPERATO
DI TRE GENERAZIONI
RIASSUME E RICORDA
LA GENIALITA' DI UN INTELLETTO SOVRANO
UNA PIETA' CHE NON CONOBBE CONFINI
UN APOSTOLATO INSOFFERENTE DI RIPOSO E DI TREGUE
Antonio Cardarelli è grande benefattore per Civitanova ed ogni cittadino sa
tutto il bene che egli ha fatto; la prima illuminazione elettrica sul Trigno;
l’acquedotto con la rete fognante; il monte frumentario per sopperire alla
tremenda carestia del 1879; l’opera del maritaggio per aiutare a sposare le
fanciulle povere del paese; la costruzione dell’attuale cimitero. Incalcolabile
la sua opera di aiuto e collaborazione con l’Arciprete Emilio Battista nella
rifondazione delle due chiese, quella Madre e quella del Carmine; valido l’aiuto
che dà per le celebrazioni del I Centenario di San Felice e, degne di rilievo,
le donazioni di ricchissimi arredi sacri, come risulta dagli archivi
parrocchiali.
(doc. preso dal sito del
comune di Civitanova)